Perché scegliere un dry garden e come progettarlo
Nella scelta delle piante da mettere a dimora per comporre un Dry Garden, è possibile valutare diverse alternative adatte a ogni esigenza e gusto, e che rispondono a diverse esigenze territoriali, climatiche e ambientali.
Tra estetica e sostenibilità
Esistono varietà che si avvicinano al manto verde e compatto tipico dei giardini tradizionali, come la Zoysia tenuifolia, che forma un folto tappeto vegetale molto resistente e versatile. È possibile scegliere varietà che rispondono a esigenze specifiche, come la Frankenia laevis, che ha bisogno di pochissima manutenzione, l’Achillea crithmifolia, che offre un giardino sempreverde, o l’Erigeron karvinskiatus, perfetto per i giardini più difficili. E poi ci sono le originalissime Verbena hybrida e Lippia nodiflora, che con la loro resistenza e l’aspetto estremamente originale – la prima ricca di fiori lilla, la seconda di piccoli fiorellini bianco-rosati – restano gli indiscussi best seller dei prati a basso fabbisogno idrico.
Queste originali varietà permettono di realizzare giardini unici, che soddisfano gli standard estetici e che apportano benefici a chi se ne prende cura e, ovviamente, anche all’ambiente. Il concetto su cui si basa il Dry Garden, infatti, è la convinzione che un giardino che funziona sia un giardino che rispetta la natura, invece di tentare di piegarla ad alcuni standard estetici. Quella dei classici prati all’inglese, infatti, è un’idea nata in altri luoghi e in altre ere climatiche, e in momenti in cui la sostenibilità e il risparmio di risorse idriche non erano temi centrali. Oggi, invece, è evidente la necessità di adattarci ai nuovi parametri naturali: anziché progettare giardini che non si adattano alle condizioni climatiche e che, dunque, hanno bisogno di una irrigazione artificiale, diventa piuttosto un’esigenza avere giardini in grado di sopravvivere, senza troppa manutenzione e senza eccessivi interventi esterni, alle condizioni del luogo in cui si trovano. E, in un mondo sempre più arido, con molti mesi caldi e molta siccità, il Dry Garden rappresenta una risposta.
Un giardino che fa da sé
Un altro dei punti di forza del Dry Garden è la bassissima necessità di manutenzione. Proprio l’adattabilità alle condizioni di siccità permette a queste varietà di non crescere eccessivamente, limitando la manutenzione a pochi sfalci all’anno. I prati alternativi sono tendenzialmente autonomi anche nella gestione di eventuali infestanti, poiché la scarsa irrigazione di cui una varietà a basso fabbisogno idrico ha bisogno impedisce che si creino le condizioni, per le malerbe, di sopravvivere a lungo.
Un Dry Garden, tendenzialmente, ha bisogno di una manutenzione più attenta durante il primo anno di vita, nella fase che separa la messa a dimora dal completo attecchimento delle piantine. In questo periodo, sarà necessario fare qualche irrigazione in più, ma mai prima del necessario: affinché le radici si sviluppino in profondità – e dunque per rendere la piante autonome, perché radicate abbastanza da assumere nutrienti dal suolo – è necessario dare acqua molto di rado ma con quantità abbondanti, in modo da rendere le piantine pronte alle condizioni nelle quali potranno sopravvivere.
La progettazione di un Dry Garden
Un Dry Garden, dunque, per essere tale, ha bisogno di essere funzionale, resistente, e pronto alle condizioni climatiche che potrebbe incontrare. Il punto, infatti, non è la quantità di acqua che può ricevere dalle precipitazioni, ma la quantità di acqua che non cade per molto tempo, per poi cadere tutta insieme. Il fenomeno della siccità si alterna, infatti, alle bombe d’acqua, e dunque è necessario, nella progettazione di un giardino, non solo scegliere piante arido-resistenti, ma anche prevedere un sistema di regimazione dell’acqua piovana che permetta di non sprecare quella risorsa preziosa, ma evitando ristagni o un’erosione eccessiva del terreno.
Se la pioggia arriva, infatti, in modo non omogeneo, è importante regimarla, per esempio accumulandola in alcune depressioni create sulle curve di livello dei giardini in pendenza, dandole la possibilità di penetrare lentamente in profondità per essere assorbita dal terreno. Per i giardini di pianura, invece, può essere utile creare movimenti di terra, in modo da evitare problemi di ristagno. Oppure, se il terreno ha uno scheletro importante e presenta grandi quantità di sassi, questi possono essere interrati per creare camere sotterranee piene d’acqua. Si tratta di una tecnica tipica dei Rain Garden, quella di creare dei vespai, nei quali far fluire l’acqua, conservando importanti riserve idriche. Insomma, la progettazione di un Dry Garden deve considerare le condizioni del luogo in cui sorge e adattarsi a esse. In ogni caso, però, il focus resta sempre sull’acqua, motivo per cui è fondamentale parlare anche del sistema di drenaggio.
La progettazione di un Dry Garden deve certamente rispondere alle specifiche esigenze di chi se ne prende cura, ma deve, innanzitutto, essere sostenibile. La sostenibilità, in questo caso, non riguarda solo l’ecologia e il benessere dell’ambiente, ma anche la capacità di sopravvivere senza eccessivi sforzi o manutenzione. Un Dry Garden può diventare un ecosistema autonomo, che, per sopravvivere, non ha bisogno di sprechi di acqua e che, quindi, salvaguarda le preziose risorse idriche della Terra.